Lavorare su campagne di Facebook advertising per un brand con l’obiettivo di generare conversioni è una delle sfide quotidiane di marketer e advertiser, sfide che a volte vengono vinte e altre volte no. 

Ma da cosa dipende il successo o l’insuccesso di una campagna di advertising? Perché alcune aziende riescono ad acquisire fette di mercato sempre più ampie e altre, pur avendo un buon prodotto, non attraggono clienti?

La risposta a questa domanda ha a che fare con la lungimiranza degli imprenditori, con la competenza dei marketers e con il ruolo fondamentale assunto oggi dalle persone.
Il tutto condito da una buona dose di fiducia tra chi fornisce il capitale da investire (l’azienda, il brand, l’imprenditore) e chi dovrà gestirlo in pubblicità (l’advertiser).

Ho parlato di questo argomento durante la live su Instagram con Francesco Agostinis che puoi trovare qui:

Live su Instagram con Francesco Agostinis

Francesco è uno dei maggiori esperti in Italia di Facebook Ads e il co-founder di Loop srl. Ha una grandissima esperienza nel campo dell’advertising, non ha peli sulla lingua e comunica con un linguaggio concreto e diretto. Questo articolo approfondisce i temi della live spiegando a che punto siamo con l’advertising in Italia e cosa possono fare aziende e marketers, per sfruttare al meglio le ultime tendenze che guidano i processi d’acquisto.

Partiamo con un dato di fatto: oggi l’advertising su canali come Facebook e Instagram, in Italia, si sta evolvendo in modo piuttosto rapid. Fino al 2017-2018 era un “terreno per pochi” e cioè pochi professionisti, al lavoro per poche aziende. Attualmente la situazione è cambiata: grazie ad un lavoro di divulgazione fatto da professionisti come Francesco e a seguito delle nuove abitudini di consumo orientate verso lo shopping online, a partire dall’anno scorso si è registrato un altissimo numero di e-commerce. Numeri alla mano, secondo il report realizzato da Casaleggio Associati, già nel 2019 in Italia le imprese che hanno scelto di vendere online hanno raggiunto la quota del 9%, destinata ad aumentare nei prossimi anni (e in forte crescita rispetto alla precedente stima del 2%). Tutto ciò, in ogni caso, ha determinato un maggiore investimento da parte delle aziende in advertising (un investimento pur sempre basso se confrontato con quello di altri paesi, ma in crescita).

Questa situazione ha generato due necessità:

  • PER LE AZIENDE, avere una maggiore competenza sui meccanismi di base dell’advertising, soprattutto per capire come scegliere eventuali collaboratori;
  • PER I MARKETERS, comprendere le ultime tendenze in materia di advertising e sfruttarle al meglio sulle diverse piattaforme, per le diverse esigenze di business.

In che modo rispondere a queste domande?

Questo articolo è un buon punto di partenza, per trovare delle risposte. Ma per trovarle è indispensabile adottare un nuovo punto di vista, e avere ben presente che:

  1. è importante avere condivisione di obiettivi e intenti. Non esistono sfide, ma lavoro di squadra: spesso si sente dire che in Italia esiste una “sfida” tra branding e adv, marketing e comunicazione, tra ufficio commerciale, ufficio marketing e ufficio prodotto: una mentalità che andrebbe superata. Tutti i comparti devono lavorare per un obiettivo comune: la crescita dell’azienda;
  2. dimenticatevi il tradizionale rapporto tra clienti e media. Oggi le persone sono  diventate loro stesse un media:  infatti è anacronistico definirli consumatori, le persone sono media perché nella loro quotidianità parlano dei brand, diffondono la loro conoscenza creando comunicazione per i brand.

Le persone sono dei media ed esercitano il loro “potere” scegliendo chi diffondere nelle conversazioni con altre persone, basandosi sulle relazioni che hanno consolidato.

Stabilito questo, come possono lavorare le aziende e gli advertiser per stimolare questo potere? Andando incontro alle esigenze delle persone nel modo giusto: e il modo giusto è stabilire una relazione con esse.  

“Prima si compravano gli spazi, ora si comprano ingressi per entrare in relazione con le persone”.

Pietro Fruzzetti

Facebook Advertising – La situazione in Italia

Ma quanto è diffusa questa consapevolezza in Italia e quanto è sfruttata nel campo dell’advertising?

I don’t know

Attualmente l’Italia è un po’ indietro rispetto ad altri paesi per due semplici motivi: ci sono meno soldi e ci sono meno persone che sperimentano
Molte aziende, infatti, per decine di anni non hanno investito, preferendo godere delle risorse ereditate dai propri genitori (i famosi boomer di oggi) e dai propri nonni. Un investimento fermo, con il passare del tempo, genera diversi problemi che con il Covid sono emersi in modo ancora più veloce. Il Covid ha solo accelerato il processo secondo cui economie non solide, in tempo di crisi, crollano. 

Lo scarso investimento in advertising negli anni, ha generato:

  • una minore sperimentazione;
  • una crescita molto più lenta dei professionisti del marketing.

A questo punto, ti starai chiedendo:

Quindi, alla luce di questa panoramica, come è possibile strutturare campagne di Facebook advertising per brand, che abbiano successo e generino conversioni?”

Te lo spiego subito, con pochi ma importantissimi punti da tenere a mente:

1. Trasforma uno svantaggio in un opportunità

Dal momento che sono ancora pochi quelli che in Italia investono in pubblicità, farlo costa relativamente molto poco; In America (restando in ambito social) il costo medio di un click sul link è di circa 1€, mentre in Italia può arrivare anche a 10 centesimi. Ottimo no?

In più l’italiano medio che ha studiato un pochetto (non tantissimo eh, ma un pochetto!) ha una cultura media, che rispetto a quella di altri paesi è più varia, più ampia, e riesce a ottenere migliori risultati dal punto di vista creativo. Perché? Perché è così.

“Siamo il terzo mondo dell’advertising, ma abbiamo grandissime possibilità di ottenere grandi risultati, con poco”.

Francesco Agostinis

2. Scegli la collaborazione giusta
(e scarta quella sbagliata)

Che tu sia un marketer o un imprenditore, adesso sai che stai partendo da una situazione di vantaggio. Tuttavia questo vantaggio, da solo, non basta: serve una solida collaborazione tra le parti. Ma come fanno marketers e imprenditori a sapere se sono fatti gli uni per gli altri? Esiste una domanda da porre per capire se ci si sta interfacciando con la persona che fa al caso nostro ed è la seguente:

“C’è una visione comune su come lavorare sul business oppure no?”

In base alla risposta ricevuta, le aziende, se non riescono a nutrire fiducia nel marketer e sentono che questo non è preso dal progetto dovrebbero rivolgersi ad altri professionisti. Il marketer, invece, se vedrà un’azienda poco convinta o scontenta di come dovranno essere gestiti gli investimenti, tanto vale che neanche cominci la collaborazione, perché quell’azienda è quello che noi chiamiamo un NON CLIENTE. 

3. Ricorda che le magie non esistono

Le magie non esistono e i marketer non fanno previsioni né miracoli. Questo un marketer dovrebbe saperlo, ma dovrebbe ricordarlo anche un imprenditore.

Sembra un concetto semplice, eppure sembra molto duro ad essere compreso. 

Potrai trovare sulla tua strada imprenditori propensi a investire, ma alcuni lo faranno solo a patto di conoscere i risultati del loro investimento in anticipo. Ti potrà capitare di interfacciarti con clienti che, dopo analisi e consulenze, accettano la tua strategia solo con la certezza che il denaro speso torni indietro, un ROAS garantito.

A questi imprenditori si dovrebbe ricordare che un marketer non è un mago, ma – appunto – un marketer e tutto quello che può prevedere è la corretta gestione dell’advertising, non i risultati. Perché i risultati dipendono da tantissimi fattori e uno di questi è proprio il cliente e il suo approccio con l’intero processo di vendita. 

Mi spiego: Schede prodotto confusionarie, siti lenti e poco fruibili, assistenza clienti assente, logistica mal gestita, sono tutti fattori che penalizzano un brand,  nonostante questo venga pubblicizzato con adv creative e coinvolgenti.

Per questo, è bene tenere a mente una cosa:

Quando sin dall’inizio si presentano divergenze di approccio il progetto parte male. 

4. Passa dallo schema “a imbuto” allo schema “a infinito”

Hai presente il classico Funnel a imbuto? Bene, parti pure da quello, ma preparati a cambiargli forma. Mi spiego: quello che molte volte le aziende, ma anche i marketers (soprattutto alle prime armi) non comprendono è che un advertising fine a se stesso non serve più. Adesso quello che conta (per ritornare all’importanza della relazione con il cliente) è la fidelizzazione, il post-vendita, la capacità di spingere il pubblico ad acquistare anche in futuro. E per farlo non basta più il classico funnel ad imbuto inteso come ”colpisco tante persone e poche di queste compreranno”, quello che serve è uno schema ad infinito: la stessa persona dovrà acquistare una volta e poi ancora, e ancora e ancora (grazie a sconti, promozioni, pacchetti personalizzati) o, in alternativa, dovrà diventare ambassador del tuo brand, facendoti pubblicità, grazie alla sua soddisfazione verso i tuoi prodotti o servizi.

L’acquirente che diventa brand ambassador, si trasforma in amplificatore (in un media, appunto) dei tuoi valori e dei tuoi prodotti o servizi. E se un’azienda riesce a far questo con l’advertising, vuol dire che è riuscita ad entrare nella vita delle persone e nella loro sfera emozionale.

Questo processo, parlando di grandi marchi, è quello seguito dalla Barilla o dalla Nutella: la maggior parte della loro pubblicità non si basa sullo spiegare che sapore hanno i prodotti, ma cosa significano quei prodotti per le persone (e cioè casa, amore, famiglia, passato felice). Abbiamo, quindi, una struttura comunicativa su base “narrativa”, una struttura che, quando si vanno a creare campagne di Facebook advertising per brand, vince. 

A meno che tu non venda un prodotto/servizio che non sia la risposta diretta ed efficace ad un problema o un bisogno, in cui potrebbe aver senso lavorare fin da subito alla vendita, tutti i progetti hanno necessità di lavorare sul proprio brand, poiché in un mercato competitivo i prodotti o servizi diventano commodity e quindi l’elemento differenziante è, in tal caso, il prezzo. Invece un progetto deve necessariamente avere un posizionamento differenziante così da poter creare una narrazione emozionale per entrare in relazione con le persone.

5. Non tralasciare il copy e le landing page

Un ultimo consiglio: non bisogna trascurare il copy, ovvero la parte testuale. Certo, la componente grafica attira buona parte dell’attenzione, ma ci sarà sempre un 30% di pubblico che vorrà andare oltre l’immagine, per leggere maggiori informazioni. Se quelle informazioni sono scritte male, siate certi che la conversione non avverrà. Se poi consideriamo le landing page il copy conta ancora di più e, in questo caso, non parliamo di copy a risposta diretta o di copy creativo: parliamo di un copy fatto di concretezza, che considera la psicologia dell’utente, che lavora su come ingaggiare il pubblico, insomma un copy che serva a far scattare quel maledetto click sul bottone (che sia compra, chiama, iscriviti)!

Questa logica costruisce relazioni e lega un acquirente ad un brand anche su lungo periodo. 

Alchimia? No.

Avere il giusto mindset: voglia di mettersi in gioco, di studiare, di avere consapevolezza delle proprie possibilità. Perché qui entrano in gioco i fondamenti del Marketing, della psicologia umana, dei concetti di bias cognitivi. Perché, come si costruisce un buon messaggio, non è questione di magia ma di tanto studio.

In bigMark! sappiamo bene quanto quest’attività sia proficua; grazie alle competenze del nostro team e alla nostra Facebook advertiser specialist, Lara, abbiamo portato eccellenti risultati in piccole e grandi imprese.

Se hai un budget a disposizione che vorresti investire in Facebook Advertising, compila questo breve questionario, ne parleremo insieme.